Lo Studio ha di recente ottenuto avanti alla Suprema Corte l’affermazione del principio per cui se viene ritenuto ingiustificato il licenziamento intimato al dirigente durante la vigenza di un patto di stabilità, l’indennità supplementare si cumula con il risarcimento del danno per violazione del patto.

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Lo scenario attuale del mercato del lavoro e delle organizzazioni aziendali vede sempre più frequentemente l’utilizzo di clausole di c.d. fidelizzazione volte a rafforzare il vincolo contrattuale garantendo all’impresa la conservazione di professionalità e funzioni strategiche. Al lavoratore (tipicamente un dirigente o comunque di qualifica elevata), per converso, viene garantito o un corrispettivo economico ovvero analogo rafforzamento del vincolo contrattuale.

Tra queste clausole, quella di durata minima (o patto di stabilità), nella quale si prevede che le parti non possano recedere prima di una certa data, assume oggi uno specifico interesse per il maggiore utilizzo che potrebbe esserne fatto per i rapporti impiegatizi sorti successivamente all’entrata in vigore del c.d. Jobs Act, oltre che per i rapporti dirigenziali.

Con questa tipologia di clausole, infatti, i lavoratori che hanno una forte richiesta da parte del mercato potrebbero negoziare una tutela integrativa rispetto a quella di legge o di contratto collettivo.

Per tale ragione riveste particolare importanza la recente pronuncia della Suprema Corte che, in un caso di licenziamento del dirigente avvenuto prima della scadenza del patto di stabilità, ha affermato la possibilità di cumulare il risarcimento previsto per violazione del patto con l’indennità supplementare prevista per il licenziamento ingiustificato.

Rispondendo all’obiezione per cui il cumulo comporterebbe una duplicazione delle voci di danno, la Cassazione precisa che il risarcimento e l’indennità supplementare trovano titolo in due diversi inadempimenti: quello di non recedere prima di una certa data e quello di recedere con motivazione adeguata. Come anche affermato dai giudici di merito, dal tenore del patto di stabilità si evince che le parti hanno voluto congelare il diritto di recesso sino alla scadenza del patto, con la conseguenza che solo a partire da tale data tale diritto si riespande con tutte le forme di tutela previste dalla legge e dal contratto collettivo.

Da notare che nei precedenti della Suprema Corte sul punto la discussione tra le parti si era incentrata sull’assorbimento dell’indennità di preavviso nel risarcimento del patto di stabilità. Anche in questo caso tuttavia la Cassazione aveva affermato il cumulo tra i due istituti (cfr. Cass. 16 maggio 2012 n.7650 e Cass. 14 ottobre 2005, n. 19903).

Va infine ricordato che una diversa sentenza della Suprema Corte (Cass 10 ottobre 2006, n 21749) ha invece ritenuto assorbiti dal patto di stabilità gli importi dovuti a titolo di indennità di preavviso e di supplementare. Tuttavia, il contrasto con le altre pronunce potrebbe essere più apparente che reale se si considera che la Cassazione, nell’esprimere i principi appena ricordati, non interpreta norme di diritto omogenee bensì clausole di contratti individuali che probabilmente hanno avuto una diversa formulazione.

In altri termini, le parti dovranno prestare particolare attenzione nella redazione della clausola per renderla coerente con lo scopo effettivamente perseguito.